Sito Ufficiale di Paul Michael Glaser

?La nostra capacit di amare il nostro pi autentico potere, il nostro pi

grande potere come esseri umani? PMG

UPDATED
April 25, 2007

OSPITE D?ONORE A ?LA NOSTRA CASA?

OTTOBRE 2006

Un?organizzazione di servizi alla comunit che fornisce attivit di supporto al dolore, educazione, risorse, e speranza.

Paul, Tracy, "Our House" founderJo-Anne Lautman and Chad Lowe

"Avevo tredici anni..."

Avevo tredici anni, e mio nonno giaceva morente in un ospedale in Florida. Ero appena diventato un Bar Mitzvah [1], e mio padre ed io volammo a Miami insieme alla sorella di mio padre e il loro primo cugino. Ricordo il forte ronzio delle eliche dell?aereo e un inquietante senso di attesa che fece sembrare quel volo senza fine.

La stanza d?ospedale del nonno emanava un cattivo odore e ricordo che non volevo respirare profondamente in modo che non penetrasse dentro di me. I gemiti di mia zia riecheggiavano attraverso il corridoio, e io stavo l in piedi a fianco di mio nonno, cantandogli diligentemente e dolcemente quella parte della Torah che avevo imparato a memoria per il mio Bar Mitzvah. Rammento che mio padre stava in piedi dietro di me. E ricordo la sua mano sulla mia spalla sinistra.

Il nonno era un imbianchino. Era basso di statura, ed esile di corporatura. Lo ricordo come un uomo tranquillo, molto religioso, che indossava i suoi tefillin [2] allacciandoli al braccio e alla testa con quelle strisce di cuoio, e pregava giorno e notte. Nelle foto ha delle grandi orecchie, un grosso naso, e guardandolo da vicino si poteva vedere che aveva un occhio di vetro. Tuttavia egli non sembr mai buffo ai miei occhi. C?era sempre qualcosa di molto gentile e delicato in lui.

Trascorsi i primi nove anni della mia vita in una casa che mio padre progett e costru su un pezzo di terra proprio dietro quella di suo padre. So che passai molto tempo in compagnia di mio nonno durante quegli anni. Mi piace pensare che fossimo molto uniti?tuttavia non ne sono sicuro.

Tutto quello che davvero ricordo oltre l?albero di pompelmo di fronte a quella piccola luminosa casa bianca dove essi si ritirarono a Coral Gable, la mano di mio padre sulla mia spalla, quel terribile odore, mia zia che si lamentava dolorosamente in quel corridoio d?ospedale dai pavimenti di un colore blu scintillante?e il nonno, che giaceva davanti a me, respirando leggermente e fissandomi con il suo solo occhio. E rammento di essermi svegliato con la luce della stanza da bagno che penetrava nel nostro hotel, e la figura di mio padre che si sporgeva per met su quell?uscio abbagliante mentre mi raccontava che il nonno era morto. Poi lui chiuse la porta e fu buio.

Dopo il funerale del nonno, ero intento a guardare un campo dalla finestra del salotto della nostra nuova casa, quando improvvisamente apparve un turbinio di vento e polvere, che pigramente lasci intravedere una strada sterrata che serpeggiava attraverso il campo.

Mio padre, che non era mai stato molto religioso, partecip giorno e notte per un intero anno a tutte le funzioni al nostro Tempio?e io venni ritirato dalla scuola privata che frequentavo perch avevo sviluppato un grave eczema e tutti pensavano che avrei subito una minore pressione in una scuola pubblica.

Questo fu il mio primo contatto con la morte e il dolore. Era qualcosa che penso che come giovane io sapessi di dover affrontare ad un certo punto ?ma non si parl mai di questo argomento. In realt, tutto ci veniva evitato. Essendo bambini, si veniva protetti da questo?e quando se ne parlava succedeva con quieti, solenni ed austeri toni che pesavano cos tanto su ogni naturale curiosit che io avessi riguardo alla mortalit che divenne praticamente come una seconda natura evitare l?argomento, dimenticarlo ogniqualvolta era possibile. Questo era il modo in cui vivevo la mia giovane vita. In un certo qual modo ero catturato dalla morbosit della guerra, dagli incidenti d?auto e dalle foto sui giornali di gangsters che giacevano in laghi di sangue?da gente morta. Fantasticavo tante volte sulla morte di mio padre, anche se lui era ancora vivo. Cercavo di immaginare come essa sarebbe stata ?il suo funerale?e cosa io avrei detto e fatto. Amavo mio padre. Desideravo il suo affetto e la sua approvazione, e tuttavia c?era in me questo richiamo a pensare alla sua morte. Di cosa si trattava? Penso che riguardasse tanto il mio sentire di poter trarre forza dalla morte di mio padre?quanto ironicamente l?aver paura di sentirmi impotente una volta che ci fosse accaduto. Ero incapace di impedire la sua morte?e da qualche parte nella mia giovent immortale c?era la paura di essere impotente ad evitare la mia stessa morte.

Poi la strada della mia vita si schiuse davanti a me verso un orizzonte oscuro dove non solo persi mio padre, ma dopo breve tempo vidi precipitare me stesso e la mia famiglia nell?incubo dell?AIDS. Avevo una moglie e due figli contagiati. Mia figlia mor?e poi anche mia moglie. E mentre l?esperienza della loro perdita e della vulnerabilit di mio figlio al virus Hiv non facile da descrivere, quello che ho imparato nel tempo riguardo al fatto di trovarsi impotenti mi ha condotto in posti che mai avrei potuto immaginare e mi ha dato un?opportunit di condividere quello che continuo ad imparare.

Penso che sia importante riconoscere la nostra incapacit di capire il dolore, poich sebbene soffriamo per quelli che abbiamo amato e perso, ugualmente importante ammettere che stiamo soffrendo anche per noi stessi. Stiamo soffrendo per la nostra stessa mortalit?e per la nostra incapacit di impedirla.

Credo che una delle fondamentali ragioni del nostro soffrire sia la nostra impotenza. Dal giorno stesso che nasciamo noi sperimentiamo questo fatto di essere impotenti?.e poi sperimentiamo la paura. E mentre cresciamo, la nostra paura ci crea un senso di vergogna perch non possiamo influire in alcun modo sulla nostra mortalit, e non possiamo tollerare questi sentimenti di totale incapacit. Mettiamo in atto tutto quello che possiamo per evitare queste sensazioni, per negarle e facciamo qualunque cosa per provare a noi stessi che siamo ?capaci?. E sebbene la paura di non avere alcun potere sulla morte diventa pi forte nel momento in cui perdiamo una persona amata, o durante una malattia, mortale o meno, ci sono tuttavia altri momenti pronti a ricordarcelo che riempiono le nostre vite quotidiane e che spesso siamo incapaci di riconoscere come esperienze stesse dell?essere impotenti e pieni di paura. L?apparente innocua irritazione di trovarci bloccati nel traffico. Il non riuscire ad esercitare alcuna influenza su un bambino. L?essere incapaci di realizzare un traguardo negli affari o in ambito sociale. L?avere solo un minimo se non addirittura nessun impatto sui nostri leaders politici e sulla direzione del nostro Paese?del mondo. I sentimenti che ne derivano sono cos intollerabili ed inaccettabili?da portarci all?esasperazione e alla rabbia verso gli altri e verso noi stessi. Diventiamo depressi o annoiati, apatici, cinici. Mangiamo troppo, compriamo troppo, ci intossichiamo con qualunque cosa su cui possiamo mettere le nostre mani e le nostre bocche nel tentativo di non provare questi sentimenti, questa paura. Le nostre menti e i nostri ego puntano alle cose che possediamo, alle quantit e qualit che siamo in grado di misurare. Alle filosofie e ai sistemi di credo che abbiamo creato. Accumuliamo ricchezza, ci rendiamo forti, sempre pi forti?cambiamo forma ai nostri corpi, colore ai nostri capelli, conquistiamo altri popoli, uccidiamo e menomiamo la gente in nome di quello in cui crediamo?tutto questo nel tentativo di provare a noi stessi che abbiamo un potere. Ci facciamo persino nemica la nostra paura dicendo cose del tipo ?non c? niente di cui avere paura se non la paura stessa??e ci chiediamo?come molti qui potrebbero fare pure in questo momento? ?Perch dobbiamo pensare a questa cosa? Sentire questa cosa? Perch lui deve parlare di questo? qui?e ora? Non abbastanza dover affrontare ci in Chiesa, in Sinagoga, o quando QUESTO succede????La ?morte?? Perch ora??

Quando sono stato invitato qui, con riluttanza sono riandato col pensiero ai miei ricordi di sofferenza?a quello che conservo di essi, perch la mia mente ha difficolt a ricordare quei sentimenti. E pensavo?quale potrebbe essere il mio apporto in questa circostanza? Che cosa so oggi della sofferenza? Mi resi conto che la sofferenza non era solo una parte tanto reale della mia vita quotidiana cos come lo era pure la mia paura, ma che anche tutti gli altri soffrono. Il nostro Paese sta soffrendo. Il nostro mondo soffre. Sta soffrendo per la sua perdita di innocenza. Per la sua perdita di immortalit, per la diminuzione delle risorse, per una popolazione pi grande e pi vulnerabile. Sta soffrendo per la perdita dell?illusione che questo pianeta, la nostra madre Terra, sia una illimitata risorsa di vita. E sta soffrendo, in cos tanti modi, a causa della nostra impotenza a fare qualcosa riguardo a ci. La condizione del nostro mondo sui titoli dei giornali, in Tv, sui computers e i cellulari 24 ore al giorno, e ci infonde uno stato di apatia, di stordimento? un violento impulso di voler controllare?qualunque cosa?.per evitare di doverci confrontare con la nostra vergogna e paura di essere impotenti.

E poi ho ricordato quello che ho imparato riguardo alla paura. Che il detto ?Non c? niente di cui avere paura se non la paura stessa?, in realt ci crea un grande danno. Perch per quanto sia nella nostra natura umana cercare di evitare questa paura, anche un dono che abbiamo come esseri umani quello di essere in grado di capire, di riconoscere e accettare la nostra paura. Di capire che questa paura di essere impotenti di fronte alla morte fa parte della nostra vita quanto l?amore. Che senza la nostra paura noi non saremmo mai in grado di esercitare la nostra consapevolezza, la nostra capacit di amare e di provare compassione non solo per noi stessi nella nostra impotenza, ma anche per gli altri. Senza la nostra paura mai potremmo perdonarci gli atti che commettiamo e che scaturiscono da questa stessa paura. Mai avremmo l?opportunit di esercitare la nostra consapevolezza e realizzare quell?aspetto dell?essere umano che ci separa e distingue da tutte le altre forme di vita. Perch dentro di noi la capacit di sentire la nostra paura come qualcosa di ?separato? e non dire che essa CHI noi siamo. Per essere in grado di dire ?una parte di me ha paura?, piuttosto che soltanto ?ho paura?. Perch l?essere ?impaurito? non CHI io sono. Non la mia identit. E quella parte di noi che capace di vedere quella parte che ha paura, che triste, che sta soffrendo? la stessa parte, quella stessa consapevolezza in ognuno di noi che?proprio adesso?pu vedere noi stessi qui seduti o in piedi, che stiamo ascoltando o parlando?quella parte che in grado di vedere noi stessi mentre sentiamo e pensiamo?QUELLA parte CHI noi davvero siamo. Quel posto di consapevolezza la nostra VERA identit. Quella consapevolezza?che pensiero?pensiero?tutto fatto di pensiero. L?aria che respiriamo, i vestiti che indossiamo, le idee e i sogni che abbiamo?sono tutti fatti di pensiero. E la nostra capacit di vedere noi stessi da questo luogo separato e conscio?di vedere noi stessi nel nostro comune e umano sforzo, nel tentativo di dare dignit alla nostra lotta con la nostra impotenza?di vedere noi stessi e sperimentare e riconoscere la nostra comune paura?quella capacit ci dona la nostra opportunit di provare compassione. Di essere in grado di dare dignit al nostro cammino intriso di paura e di impotenza e di tutto il nostro bisogno umano di evitarle. E da quel posto di consapevolezza?quel posto distinto, noi possiamo scegliere di provare compassione per noi stessi?e per estensione, compassione per gli altri. E ogniqualvolta noi sperimentiamo la compassione, noi stiamo sperimentando i nostri cuori, la nostra capacit di amare, la nostra connessione e unione l?uno con l?altro, la nostra unione col tutto, e la nostra appartenenza al tutto che . La nostra condizione umana di essere impotenti di fronte alla nostra mortalit ci offre la possibilit di sperimentare la paura?e la paura, nelle nostre fragili vite umane ci conduce al nostro amore. Proprio come l?Universo ha bisogno di espandersi prima di potersi contrarre, o come i nostri polmoni devono essere vuoti prima di potersi riempire, cos per il riconoscimento della nostra paura e impotenza e della dignit del nostro sforzo?senza questo noi non possiamo sperimentare l?amore?e senza l?amore?non ci pu essere alcuna paura. Essi hanno bisogno l?uno dell?altra?esistono insieme e si completano l?un l?altra.

Mi impressiona che il risultato e l?impegno che questa organizzazione esprime giunga ben oltre le nostre esperienze individuali di dolore e perdita. Questo ci parla di un atto di riconoscimento di quello di cui tutti siamo capaci e di cui abbisogniamo. Un atto di compassione per noi stessi e per gli altri derivante dalla comprensione che il nostro mondo sofferente. Che la nostra capacit di riconoscere e ammettere la nostra paura di essere impotenti un?opportunit e la nostra unica via di arricchimento?e il solo modo con il quale possiamo superare la condizione di paura della nostra nazione e dei popoli del mondo. Mai come ora ci troviamo a doverci confrontare a causa della nostra prossimit con la sofferenza, l?odio, l?avidit e la mancanza di consapevolezza di cui noi e i nostri simili siamo capaci. Ci ha determinato un livello di paura mai sperimentato prima su questo pianeta, tuttavia questo ha anche innescato la nostra pi grande opportunit di trovare e realizzare la nostra umanit.

Grazie

I discorsi qui contenuti sono di propriet di Paul Michael Glaser e del paulmichaelglaser.org.


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(1)Un bambino ebreo raggiunge l?et della maturit a 13 anni (12 anni le femmine) e diventa un Bar Mitzvah (figlio del comandamento). Da quel momento diventa responsabile per se stesso nei confronti della legge ebraica al pari degli adulti.

(2)I tefillin (detti anche filatteri) sono due scatolette cubiche di cuoio che gli Ebrei portano durante la preghiera del mattino, contenenti brani della Torah. Una di esse viene allacciata al braccio sinistro (sul destro per i mancini) con delle strisce di cuoio nero, e l?altra viene posta sulla testa.

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Staff multilinguistico: Raffaella, Hilly, Marion