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Update:
February 6, 2007 |
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ISRAEL CANCER RESEARCH FOUNDATION
LOS ANGELES, FEBBRAIO 2007
?Ricerca?: cercare ancora, cercare di nuovo. Cercare in posti dove non si mai posato lo sguardo prima. Essere disposti ad inoltrarsi nell?ignoto e a fallire?essere disposti ad essere nel torto. E? quasi assiomatico, cos come una buona definizione di creativit: per essere disposti a trovare si deve essere disposti a perdersi. Quando ero Presidente della EGPAF, io stesso e il dottor Phil Pizzo creammo la Glaser Pediatric Research Network, come risposta al bisogno di mantenere attiva la ricerca sull?HIV in un tempo in cui la comunit scientifica e medica aveva fornito gi sufficienti progressi e farmaci cos da creare l?illusione che l?HIV/AIDS fosse diventata una malattia ?trattabile?. Mentre noi sappiamo quanto questo ne sia a stento il caso. Quindi noi prendemmo a prestito il modello della collaborazione interdisciplinare che Elizabeth aveva creato e finanziato in modo che gli scienziati si scambiassero le loro idee, lavorassero insieme, e cercammo di applicarlo non solo ad una rete di Universit e di scuole ospedaliere e ai loro ricercatori, ma anche al mondo della malattia. Poich il concetto che mentre si considera vantaggioso, addirittura obbligatorio per gli esseri umani collaborare e condividere la loro ricerca, le malattie sono sempre state ?collaborative? fin dall?inizio della vita, non vivono isolate l?una dall?altra, e quindi sarebbe prezioso il fatto di cercare di mettere in relazione la ricerca su una malattia alla ricerca su un?altra malattia. Noi potremmo imparare sul cancro e su altre malattie dalla ricerca sull?HIV/AIDS, e potremmo apprendere di pi sull?HIV/AIDS dalla nostra ricerca su altre patologie. Dopo tutto, la ricerca sull?HIV/AIDS la ricerca stessa sul nostro sistema immunitario ed esso rappresenta la nostra prima porta di comunicazione con la malattia e la nostra prima linea di difesa. E per quanto il concetto appaia semplice, e ci siano molti esempi di farmaci che sono stati studiati per una determinata malattia e scoperti poi efficaci per un?altra, non fu altrettanto semplice portare la gente a capire il concetto e ad utilizzarlo. Fu difficile insegnare ad altri membri del Consiglio ed addetti della Fondazione a comprendere un nuovo modello e a fare qualcosa di creativo al di fuori della loro ?area di sicurezza?, a prendersi qualche rischio su un?idea non sperimentata. Non fu semplice far s che gli scienziati cambiassero i modelli della loro ricerca e ampliassero i parametri dei loro studi per tenere conto di quei dubbi ed errori, di quelle soluzioni che ci sorprendono quando compaiono dal nulla, come succede nel 90% delle occasioni. I ricercatori tendono a limitare la loro visione mentre focalizzano l?attenzione sul loro obiettivo. In quel modo tutto pi comodo, pi controllabile. E? pi facile credere che ci si pu avventurare nell?ignoto e controllare, se non sradicare, la paura di sentirsi persi, fissando dei precisi parametri e cercando di mantenere l?illusione del controllo. Nel nostro mondo odierno, dove la paura e il nostro conseguente bisogno di controllo cos grande. Dove evitare il rischio, la paura di esporsi troppo, la paura di porsi difficili domande e quella di cercare e dire la verit la norma, il coraggio sopra la pari. Nella burocrazia della politica, degli affari, della scienza e delle arti, la paura ci induce a camminare a passi serrati, a cercare sicurezza nella conformit. Si potrebbe considerare che storicamente questa sempre stata la condizione umana, eccetto per il fatto che mai le persone del nostro mondo hanno vissuto a cos stretto contatto e si sono sentite tanto distanti?tanto impaurite, cos prive di speranza in un futuro, cos bisognose di un qualche senso di potere per controllare i loro destini. Oggi la nostra ricerca per la conoscenza la nostra sola speranza. Non solo per le immediate e le non immediate risposte per la nostra vita quotidiana, per la nostra salute e il nostro benessere, ma per la riaffermazione della nostra pi grande risorsa umana, la nostra fede. Quando impariamo, scopriamo o riveliamo qualcosa, noi intuitivamente comprendiamo che ci qualcosa che fa parte di un intero corpo, di un universo, se volete, del sapere che l da sempre. Non l?abbiamo creato noi. L?abbiamo scoperto. Abbiamo messo in luce, rivelato qualcosa che appartiene ad un intero corpo di conoscenza?di consapevolezza. E in quell?atto di scoprire, noi ci ri-uniamo a questo corpo. Come se, descrivendo il nostro braccio o la nostra gamba come un ?membro? del nostro corpo, noi lo ri-membrassimo, lo ri-unissimo. E in quel momento di connessione, noi sperimentiamo che siamo parte di quel corpo, una parte del Tutto, e che il Tutto una parte di noi. Sperimentiamo che non siamo soli nella nostra lotta, che siamo parte di qualcosa di pi grande di noi, pi grande di questa stessa vita. E in quel momento di scoperta e di connessione, noi sperimentiamo la fede. E durante quell?esperienza di fede, di certo comprendiamo una cosa?che siamo qui per appartenere, che siamo qui per essere UNO con il tutto. Che questa conoscenza il dono dell?essere umano, e che noi abbiamo la capacit di scegliere. Possiamo scegliere se abbiamo intenzione di sopravvivere come forma di vita, di evolvere oltre le limitate risorse della nostra Madre Terra e colonizzare altrove nel nostro sistema solare, o invece se saremo vittime della nostra natura animale che ci vedr distruggere noi stessi e l'uno con l'altro a causa della nostra paura, avidit e stupidit. Israele non altro che un edificio di coraggio e di fede. La storia delle realizzazioni ebraiche in cos tanti aspetti della vita attraverso la storia del mondo e la relativamente breve storia di Israele come nazione eccezionale. I contributi alla scienza, alla medicina, alle arti e alla letteratura sono andati oltre lo straordinario. Questioni politiche a parte, tanto Israele diventato il parafulmine della paura del mondo, quanto assurto a simbolo della capacit dell?uomo di sopravvivere e conservare la fede poich essa radicata nella tradizione ebraica dell?apprendimento. E sebbene una storia di antipatia verso il popolo ebraico e la sua aspirazione alla conoscenza potrebbe rappresentare il bisogno della nostra natura di colpire con il risentimento, l?odio, la gelosia e l?invidia derivanti dalla sua stessa paura di impotenza, cos pure nella nostra natura umana trovare compassione per noi stessi e per gli altri nella nostra paura, di identificare i nostri cuori. Ed la nostra umana natura che sente il bisogno di sentirsi unita, che desidera profondamente imparare, scoprire, ri-unirsi, ri-appartenere. Guardiamo alla situazione del mondo oggi e c? poco spazio per la speranza. Qualche volta guardiamo da un?altra parte e fingiamo che non stia realmente accadendo, oppure diciamo che la responsabilit di qualcun altro e che non tocca a noi occuparcene, perch non vogliamo affrontare la nostra opprimente paura della nostra impotenza nel fare, nell?avere influenza su una qualunque cosa. In verit, siamo molto fortunati a vivere in quest?epoca. Siamo fortunati perch abbiamo una scelta. E se non distogliamo lo sguardo, la nostra paura sempre l per mostrarci che possiamo scegliere, per mostrarci i nostri cuori, e che essa la nostra compagna. Essa ha un proposito. Il fine della nostra paura offrirci l?opportunit di amare.
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